Una vita di ventitré anni bruciata nell’inferno della Caienna. È il Papillon italiano. Ma la sua sorte non è fortunata come quella di Henri Charrière e non torna vivo dalla Guyana francese per scrivere un best seller che darà lo spunto per un grande film. La storia di Luigi Gualdi, bergamasco di Vertova, è stata ricostruita, con una tenace ricerca negli archivi francesi, da Mario Gualdi, figlio di uno dei fratelli di Luigi, e dal figlio di Mario, Fabio, oggi avvocato a Como.
La copertina del libro “Luigi Gualdi, il Papillon italiano” che Gabriele Moroni ha scritto con Mario Gualdi, edito da Diarkos
Bernardo Gualdi e la moglie Maria Grata Anesa hanno undici figli. Luigi, venuto al mondo il 24 agosto 1905, è il quarto. I Gualdi lavorano la terra a mezzadria. È buona gente, timorata di Dio, come si diceva una volta. Uno dei figli sarà missionario, un’altra monaca di clausura. Luigi sa di avere davanti a sé una destino di miseria contadina. Sogna di emigrare in Francia. Non è l’unica ragione che lo spinge a espatriare. Si è avvicinato alle idee del socialismo, ha avuto duri scontri con squadre di fascisti. Ha il passaporto. Passa il confine, senza conoscere una parola di francese. Approda a Nizza. Non trova lavoro. Il 26 giugno 1924 Luigi Gualdi viene arrestato per il furto di un bicicletta e condannato a quindici giorni di carcere. Il 2 luglio il Tribunale delle Alpi Marittime lo espelle dal territorio francese, ma il giovane bergamasco non si muove. Il 2 dicembre l’episodio che ne segnerà il destino. Nei pressi della cittadina di Claret, con un compagno e complice francese che si chiama André Gauthier, si introduce nella fattoria di Albert Izoard. Il padrone di casa abbozza una reazione. È Gauthier a sparare ferendolo a morte. La coppia si divide ed è caccia all’uomo. Oltre alla polizia, anche alcuni contadini della zona si mettono alla ricerca dei due fuggiaschi. Luigi ha un conflitto a fuoco con uno di questi. Si chiama Gaston Dominici. Nel 1952 sarà il protagonista del più grande caso della storia criminale francese, reso celebre anche da un film con Jean Gabin. È l’”affaire Dominici”: il massacro di una famiglia inglese formata da Lord Jack Drummond, dalla moglie Anne e dalla loro bambina Elizabeth, di dieci anni. I coniugi sono stati uccisi a fucilate. Elizabeth ha il cranio fracassato.
Gualdi e Gauthier sono arrestati e processati. Il 5 agosto 1925 vengono condannati ai lavori forzati a vita. Il 17 aprile 1927 Luigi Gualdi sale sulla nave-prigione La Martinière che lo trasporta al bagno penale, in Guyana. È il forzato numero 49061. I deportati sono seicento, viaggiano completamente nudi rinchiusi in alcune gabbie collocate sottocoperta, una ottantina per gabbia, a contendersi furiosamente spazio, cibo, acqua. Molti muoiono per malattia, denutrizione, percosse, oppure suicidi. I cadaveri finiscono in mare, in pasto ai pescecani.
I tre isolotti nell’Oceano Atlantico, 11 chilometri a largo di Saint-Laurent-du Maroni, nella Guyana francese, dove venivano deportati i forzati a vita. Ora sono luoghi turistici
La traversata dura tre settimane, fino all’approdo a Saint-Laurent, sul fiume Maroni, il 27 aprile. Di lì l’internamento in quelle che per feroce ironia del caso si chiamano Iles du Salut, Isole della Salvezza: Isola del Diavolo, Isola Reale, Isola di San Giuseppe, tre isolotti di origine vulcanica che formano un piccolo arcipelago. Le prigioni coloniali, conosciute come Terre delle grandi punizioni, vengono istituite dall’imperatore Napoleone III con una legge del 30 maggio 1854. Le deportazioni per la Guyana francese sono iniziate già da qualche anno, con il decreto dell’8 dicembre 1851 (dopo il colpo di stato bonapartista del 2 dicembre e la fallita insurrezione per contrastarlo del giorno 4) e con un decreto del marzo 1852. Gli insorti del 1851 sono stati confinati per la maggior parte in Algeria. Per la Caienna sono partiti 328 condannati; solo 177 torneranno dell’orrendo soggiorno oltre l’Atlantico.
Il best seller “Papillon” (dieci milioni di copie vendute), edito da Mondadori, di Henri Charrière. Dal libro fu tratto il famoso film con Steve McQueen e Dustin Hoffman (1973)
Il clima è infernale. Malaria e lebbra sono in agguato. Nella giunga vivono alligatori, serpenti, animali feroci. I fiumi sono popolati dai piranha. Ogni bagnard, nudo tranne le scarpe e il cappello, immerso nell’acqua fino alla vita, ha l’obbligo di tagliare un metro cubo di legno al giorno, altrimenti la sua razione di cibo sarà ridotta a un tozzo di pane. La disciplina è spietata. Gauthier, compagno di Luigi Gualdi nella sanguinosa rapina, viene ghigliottinato per avere ammazzato una guardia. Dei 60mila deportati solo in 2mila sono tornati dalle Isole della Salvezza.
I famigliari sono senza notizie da più di due anni. L’ultima lettera di Luigi porta il timbro postale del 27 giugno 1927, due mesi dopo l’arrivo in Guyana. I Gualdi si rivolgono alle autorità. Il 30 ottobre 1929 Gaetano Rinaldi, segretario politico della sezione di Vertova del Partito nazionale fascista, scrive al Consolato francese alla Caienna. La risposta è del 3 gennaio 1930: Luigi Gualdi è morto. Il decesso è stato provocato da de suites de diarrhée. È vero: Luigi è morto. Ma la causa della sua fine stata è un’altra.
Mario Gualdi, coautore del libro, esamina i documenti relativi a Luigi Gualdi negli Archivi Nazionali d’Oltremare a Aix-en-Provence (foto: Diarkos)
I dossier contengono, oltre all’atto di morte del Ministero delle Colonie, un certificato medico del 28 maggio 1928. Il detenuto è stato visitato dal “medico maggiore” che ha diagnosticato una malaria grave. Luigi Gualdi è morto dieci giorni dopo, il 9 giugno. Il suo corpo, come quelli di tutti i reclusi morti in detenzione, è stato gettato in mare, verso le sei del pomeriggio, in un tratto tra l’Isola di San Giuseppe e la Reale, infestato dagli squali, al suono della campana della chiesa.
Soltanto dieci anni più tardi, nel 1937, la legge francese abolirà la deportazione e i lavori forzati. Nel 1946 i bagni penali della Guyana verranno definitivamente chiusi.
Immagine di apertura: la statua dedicata ai forzati a Saint-Laurent-du Maroni, nella Guyana francese. Si trova di fronte all’ingresso del campo dove i detenuti aspettavano di essere trasferiti alle Isole della Salvezza
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