CI SONO casi di cronaca che fanno storia, e altri addirittura «la» storia, non può sfuggire la differenza. Tra l’uno e l’altro crinale si pone il lavoro di Gabriele Moroni, uno di quei cronisti infaticabili che non si fermano mai, neppure quando essi stessi scrivono che il caso è chiuso. C’è sempre qualcosa da chiarire, da scavare, da raccontare. E Moroni ha il ritmo del «passista»: va via con una pedalata ampia e uniforme che stronca
tutti. Con il volume “Delitti e vecchi merletti” (Mursia), che raccoglie venti esemplari «casi di cronaca nera che hanno fatto storia» (è il sottotitolo), l’autore sembra appunto obbedire a una interiore necessità, una sorta di vocazione: raccontare quei fatti che hanno avuto origine e svolgimento tipici
della cronaca nera, ma che hanno lasciato nell’aria – e nei rapporti di polizia, nelle testimonianze ancora reperibili – qualcosa di incompiuto, ancora da decifrare e illustrare. Storie nate apposta, verrebbe da dire, per i cronisti alla Moroni, che sanno bene come ogni verità nasconda almeno due
altre attendibili interpretazioni. Spaziano, le venti storie di “Delitti e vecchi merletti”, dalla fine del ’700 all’immediato, secondo dopoguerra, abbracciando buona parte dell’Italia: dal Piemonte alla Lombardia, fino in Puglia e in Sicilia. Non c’è un rigo che sia frutto di immaginazione. Ogni storia è presa dalla cronaca del tempo e fatta rivivere nei suoi personaggi, nelle sue date, nelle sue minute circostanze, con gli approfondimenti e
gli arricchimenti dovuti a quel consumo di scarpe cui sempre si allude, in una redazione, parlando di un cronista che ama, e sa fare, il suo mestiere, frequentando biblioteche e archivi, i luoghi dei fatti e quelli di riferimento…(continua)
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