L’architetto Augusto Rancilio rapito il 2 ottobre 1978
e ucciso sull’Aspromonte da uno dei suoi carcerieri
Gli appelli del padre
per riavere il corpo
L’inviato de “Il Giorno” Gabriele Moroni racconta il timore
degli imprenditori del Nord che giravano sempre armati
Furono definiti i una storia infinita “martiri di ”. Ragazzi, bambini, uomini e donne anche del nord, colpevoli di
vivere una condizione di benessere e per questo sequestrati
dalla ‘ndrangheta e inghiottiti
dall’Aspromonte. Molti di loro
non fecero più ritorno a casa e
ancora oggi nessuno sa neanche dove si trovano i loro poveri resti.
Augusto Rancilio, giovane architetto di 26 anni, italiano ma
residente a Parigi, fu rapito il 2
ottobre del 1978 a Cesano Boscone, nel milanese, all’esterno di
un cantiere di famiglia. Erano
da poco passate le sette del mattino quando gli uomini della cosca Muià, Mammoliti e Sergi entrarono in azione. Accanto a un
box utilizzato come ufficio c’era
una dipendente dell’azienda
Rancilio che stava aspettando
come ogni mattina l’arrivo del
capostipite, l’ingegnere Gervaso o Gervais Rancilio. Nell’auto,
una “Peugeot 604” con targa
francese, c’era anche il figlio
Augusto. In pochi secondi l’auto
venne circondata da uomini incappucciati e armati. Augusto
provò a opporre resistenza cercando di difendersi con un ombrello, ma i malviventi ebbero la
meglio. Verrà caricato di peso
su un’Alfetta 2000 blu e portato
via sotto gli occhi di un padre
anziano e impotente che nulla
potrà fare
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